QUANTO COMPRENDI IL TUO CORPO?
Ti è mai capitato di chiederti quale significato possa avere un segnale che arriva dal tuo corpo?
Hai mai provato a metterti in ascolto per comprenderne il messaggio che può celare? Ti sei mai semplicemente dato/a il tempo e lo spazio per prendertene cura?
L’invito che ti faccio oggi, attraverso queste parole ma soprattutto attraverso un semplice esercizio di pratica, è tratto dal libro “Essere Cura. Una rivoluzione gentile” (pag. 56-57) e ti invita ad una pratica.
E’ un esercizio che propongo ai miei pazienti tra un incontro di riequilibrio posturale e l’altro, per mantenere i benefici della seduta che pratichiamo insieme ed è un’ottima pratica di auto manutenzione per detendere le catene muscolari, per rilasciare le principali tensioni muscolari e per ritrovare una maggiore centratura ed un migliore equilibrio interiore.
Leggi la pratica sino alla fine e poi sperimenta, se vuoi e se puoi.
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Trova una posizione comoda, puoi sederti o se preferisci distenderti, piegando le gambe con le piante dei piedi appoggiate a terra oppure appoggiandole su una sedia, o su una poltrona affinché́ siano sostenute (e in questo caso unisci le gambe con un un foulard o con un nastro affinché̀ non ruotino verso l’esterno). Datti il tempo, socchiudendo magari gli occhi, di entrare in contatto con il movimento spontaneo del respiro.
Resta presente alle sensazioni di comodità̀ e/o scomodità̀ del corpo e poi scegli di contattare con il respiro quelle parti che richiedono la tua attenzione.
Prova a usare il respiro come fossero le tue mani e prova a
indirizzarlo proprio verso quelle parti, con gentilezza e pazienza, come faresti accarezzando o abbracciando un bambino o un caro/a amico/a in difficoltà.
Prova a esercitare quella compassione che generalmente siamo tutti più allenati a rivolgere a chi amiamo proprio a te, proprio ora, attraverso il tuo respiro e per il tuo corpo.
Concediti tutto il tempo che ti occorre per questa esplorazione e poi, con un paio di respiri un po’ più profondi, riapri gli occhi e riporta l’attenzione verso l’esterno provando a osservare se e cosa è cambiato, per il corpo e per il tuo “sentire” globalmente.
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L’esperienza che hai appena fatto è un’esperienza di profonda comprensione.
Amo l’etimologia delle parole, perché́ in qualche modo riconnette alla profondità̀ delle radici che le hanno generate.
La parola comprensione (dal latino cum-prehendere, ovvero afferra- re insieme cose che stanno dinnanzi a me), permette quindi un’inclusione in sé di tutto ciò̀ che “sono” , di tutto ciò che sento, di tutto ciò che mi abita e che include ordine e disordine, sensazioni “co- mode” e “scomode”, piacere e dolore, flusso vitale e stagnazione, memorie, pensieri, emozioni e sentimenti, sogni e intuizioni, rumori di sottofondo e silenzio.
La parola comprensione è dunque già̀ relazione.
Solo comprendendo “tutto” posso ricongiungermi a tutto ciò che sono e che, ancora non sono.
Solo comprendendo ciò̀ che è, e che ancora non è, posso tornare a me, al mio Sé più̀ profondo che non giudica e non è giudicato, che rispetta cioè̀ vede e quindi, si vede.
Non è forse proprio il rispetto, cioè̀ la sensazione contemporaneamente di vedere e di essere visti, il fondamento di ogni relazione e dello stesso sentimento di amore?
Non è dunque solo una comprensione compassionevole che mi permette di riconnettermi al flusso inarrestabile e inestinguibile dell’amore, sorgente infinita di vitalità̀ e di vita?
Anche la parola compassione ha radici semantiche assai interessanti, e lo vedremo tra poco.
Percepiamo benessere e malessere come un’onda che si crea e si ricrea costantemente, proprio come il nostro respiro.
Buona esperienza e buona pratica a tutti e a tutte!