REGALARSI UN ABBRACCIO.

Forse sarà capitato anche a te. Essere in una situazione in cui senti di non riuscire a trovare le parole.

Quei momenti in cui ogni parola sembra troppo, o magari troppo poco. Momenti in cui vorresti spiegare, spiegarti ma in cui senti che le parole arrivano sino ad un certo punto e che c’è un confine che con le parole, è impossibile varcare.

Hai mai provato ad abbracciare dentro di te questa sensazione, cioè a sentirla, ad esserne più consapevole e a lasciare che questa si trasformi in un abbraccio per qualcuno, per qualcosa o anche “semplicemente” per te stesso, per te stessa?

Nelle righe che seguono ti invito alla lettura di un breve estratto di “Essere Cura. Una Rivoluzione Gentile” tratto dal capitolo III, dedicato al CONTATTO. Un piccolo gesto, un piccolo dono per offrirti, anche attraverso il sentire che accompagna queste parole, un abbraccio.

Proprio ora e proprio per te.

Buona lettura!

Abbraccio e compassione: il contatto che nutre

“Se non sai che cosa fare delle tue mani, trasformale in carezze”. (Jacques Salomé)

Apro la porta del mio studio.

Accolgo in sala d’attesa con un abbraccio Anita, donna sempre sorridente, morbida e generosa in tanti sensi. Leggo subito nella sua postura un cenno di chiusura nelle spalle, e gli angoli del suo sorriso un po’ più inclinati verso la terra.

Mi fido di questi segnali apparentemente piccoli che per me, e per chi come me conosce e si fida del linguaggio del corpo, sono finestre che si aprono su panorami interiori.Appena chiusa alle nostre spalle la porta della mia stanza, Anita mi chiede con gli occhi, un altro abbraccio.

Il mio corpo segue il movimento spontaneo e le mie braccia accolgono, insieme al suo corpo, anche le sue lacrime che irrompono come un fiume che ha finalmente vinto una diga faticosamente costruita per arginare la piena.

Il silenzio, la presenza e la compassione per il suo dolore hanno in me il sopravvento e resto a contenere, come argini pronti a cancellarsi in un istante, il suo fiume in piena e, a tratti, il mio.

Mi dice: “sto bene sai? O meglio, la mia schiena sta bene…. È che mi basta entrare in questo studio e, non so perché, ma non so più fingere”.

“Grazie” –  le rispondo io, guardando attraverso le sue lacrime per raggiungere i suoi occhi – “questo è l’intento che mi anima ogni giorno quando apro questa porta: curare e offrire un luogo che possa essere un porto sicuro in cui rifugiarsi, una casa in cui ritrovarsi, un abbraccio in cui nutrirsi.”

Il suo sorriso, questa volta con gli angoli rivolti verso il cielo, mi indica che è il momento di iniziare il trattamento corporeo per il quale è arrivata sin qui.

Come è solita fare, si prepara e si distende. Le mie mani accompagnano il suo corpo, le sue tensioni, con lo stesso anelito che credo animi il musicista quando ricerca l’armonia del suono per accordare il suo strumento. Ogni tocco ha l’intento di prendersi cura di quel dolore che, superando le contratture muscolari, fa eco alla sua anima e al suo cuore.

Ci accompagna una delle musiche che più amo quando lavoro, note toccanti suonate da una musicista particolarmente sensibile che risuonano tra le mie dita. (vedi riferimento musicale al termine del capitolo V). Solo al termine della nostra ora insieme, Anita si alza. La sua postura appare più equilibrata e aperta, il suo viso più disteso.

Prima di salutarci ci tiene a rendermi partecipe di quel dolore al quale non aveva prima voluto dare un nome…. Un ultimo abbraccio e con un filo di voce  confida:  “Sai Monica, due giorni fa è morto il mio più caro amico. Si chiamava Franco. Era per me una persona speciale, aveva un sorriso sincero e un cuore gentile. Cosi, all’improvviso, è dura, molto dura”.

“ Non ho dubbi, Anita – le dico mentre la sua testa è appoggiata sul mio cuore – era un tuo amico ed è un tuo amico. Quello che senti per lui non cessa mai di esistere. Puoi sentire il bene che provi per lui proprio ora?” Annuisce con il capo e una lacrima accarezza il suo sorriso, con dolcezza.

“Credo di potere comprendere almeno una parte del tuo dolore Anita – mi trovo a dirle mentre mi ascolto e accolgo in me parte del suo dolore – grazie per avermi permesso di condividere un momento così intimo con te. Porterò il tuo amico insieme a te nel cuore anche nei prossimi giorni. E scrivimi se ti fa piacere.”

Il nostro abbraccio compassionevole sembrava non finire più e chissà, forse grazie alla memoria del corpo, di cui abbiamo parlato, continua ancora.

(photo courtesy: Di Vidos)

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